Tre anni e otto mesi di reclusione, più l’interdizione legale e la revoca della patente di guida, oltre al pagamento di tutte le spese processuali e delle parti civili. Nulla potrà restituire ai familiari di Gennaro Mannuzza il loro caro, ma la moglie, i due figli e la sorella del rinomato chef partenopeo, rimasto vittima di un tragico incidente stradale, dopo essere stati risarciti stragiudizialmente attraverso il lavoro di Studio3A, hanno almeno ottenuto un po’ di giustizia anche sul fronte penale. Nei giorni scorsi, infatti, il giudice del Tribunale di Napoli, dott. Luca Della Ragione, con sentenza n. 593/2020, ha condannato a una pena non proprio “simbolica”, come purtroppo accade spesso in questi casi, l’automobilista che ha causato il sinistro e si è pure dato alla fuga lasciando la vittima al suo destino, tenuto anche conto che aveva chiesto il rito abbreviato che dà diritto allo sconto di un terzo della pena stessa: si tratta di Fabio Sannino, oggi 51 anni, di Portici, peraltro pluripregiudicato per reati legati alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
L’incidente, che ha avuto vasta eco in tutta la Campania, è successo il 24 ottobre 2017, alle 23.50. Mannuzza, che aveva solo 56 anni ed era uno chef affermato e conosciutissimo, punta di diamante degli Hotel Vesuvio e Santa Lucia, dopo una lunga giornata di lavoro stava rientrando nella sua casa di Ponticelli in sella al suo scooter Gilera Runner 200, e procedeva tranquillamente per la sua strada in via Amerigo Vespucci, in direzione sud, di via Volta. Alle sue spalle, nella stessa direzione di marcia, è però sopraggiunta la Dacia Nuova Sandero condotta da Sannino. Come ricostruito dal perito Giuseppe Cappiello, a cui la Procura di Napoli avrebbe conferito l’incarico di accertare dinamica e cause del sinistro, l’automobilista, nell’effettuare un sorpasso in prossimità della rotatoria tra via Vespucci, Corso Arnaldo Lucci e Vico Primo Ponte della Maddalena, a causa dell’eccessiva velocità (di certo superiore ai 60-70 km/h conclude il consulente tecnico) e dell’errata valutazione della distanza dal rondò, ha scartato tutto a destra per proseguire il tratto sinuoso in affiancamento alla rotatoria, ma così facendo ha urtato il motociclo all’altezza del manubrio, facendo cadere il suo conducente e per di più lasciandolo agonizzante sull’asfalto, dileguandosi.
L’incolpevole chef è rimasto anche a lungo a terra privo di soccorsi. Finalmente trasportato, in condizioni disperate, all’ospedale Loreto Nuovo, ha lottato per 9 lunghi giorni ma il 2 novembre i sanitari si sono dovuti arrendere, dichiarandone la morte cerebrale: i suoi familiari, pur nell’immenso dolore, con un grande gesto d’amore hanno autorizzato l’espianto degli organi. Nessun dubbio sul nesso di causa con le conseguenze dell’incidente. Il medico legale a cui è stata affidata l’autopsia, il prof dott. Massimo Esposito, ha individuato la causa del decesso nel grave trauma cranico e toracico-addominale subìto in seguito al sinistro stradale.
La fuga del pirata è durata poche ore. Gli agenti della polizia municipale di Napoli, grazie anche alle informazioni fornite da un testimone che aveva ricopiato il numero di targa dell’auto, la stessa notte del 25 ottobre si sono presentati a casa del 51enne di Portici il quale, di fronte alle inequivocabili tracce del recente incidente sul veicolo di proprietà della madre, non ha potuto che ammettere le sue responsabilità asserendo di essere stato preso dal panico e di essersi quindi allontanato. Giustificazioni che, chiaramente, non gli hanno evitato, oltre all’immediato ritiro della patente, la contestazione del reato di omicidio stradale con l’aggravante della fuga e dell’omissione di soccorso, e il processo. Al termine delle indagini preliminari infatti il Pubblico Ministero della Procura partenopea titolare del fascicolo, il dott. Luciano D’Angelo, ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per l’imputato attribuendogli la responsabilità dell’incidente e quindi del decesso dello chef e ascrivendogli la violazione di svariate norme del codice della strada, con particolare riferimento alla velocità: Sannino non solo correva di gran lunga oltre il limite prescritto, che peraltro nella circostanza era di 20 km all’ora essendo in corso, in quel tratto, lavori di rifacimento della strada, ma teneva anche una velocità del tutto inappropriata al luogo, un’intersezione a raso in centro abitato, e all’ora notturna. Oltre ovviamente alle aggravanti di essere fuggito e di non aver prestato assistenza al centauro.
I familiari della vittima, per ottenere giustizia, attraverso l’area manager Luigi Cisonna, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, che già da tempo ha ottenuto per i propri assistiti un congruo risarcimento dalla compagnia di assicurazione della vettura. Restava però aperto il procedimento penale che, dopo l’udienza preliminare tenutasi il 19 aprile 2019 e quella successiva del 29 maggio, in cui l’imputato ha richiesto l’abbreviato, ha visto diversi rinvii, da ultimo anche per coronavirus. Ora, finalmente, con la condanna dell’imputato a tre anni e otto mesi e alla revoca della patente, si è chiuso anche questo capitolo della dolorosa vicenda, le cui ferite però non potranno mai rimarginarsi.