L’itinerario si snoda alle pendici del versante meno conosciuto del Monte Somma, quello orientale, conducendo il visitatore alla scoperta delle tipiche produzioni agricole vesuviane.
E’ il sentiero n°7 Il Vallone della Profica – la discesa a valle racchiusa nel timelapse di un minuto pubblicato dall’Ente Parco del Vesuvio.
La partenza è dal comune di San Giuseppe Vesuviano, si tratta del primo progetto realizzato nell’ambito del Masterplan del “Grande progetto Vesuvio”, piano pluriennale di investimenti dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio finalizzato al rilancio dell’area protetta.
Un’infrastruttura green permetterà di avere una nuova “porta del parco” da San Giuseppe Vesuviano attraverso la quale residenti e turisti potranno raggiungere attraverso la rete di fruizione sostenibile i più importanti punti d’interesse del Parco Nazionale del Vesuvio.
Il tracciato attraversa subito un ambiente rurale largamente parcellizzato e diversificato: sul lato sinistro pregiati alberi da frutto, tra cui il fico, l’albicocco, il ciliegio ed il pruno, mentre sul lato destro si riconoscono vigneti, noccioleti e qualche castagno.
La valenza del sentiero non è, tuttavia, solo agro-turistica; anche il valore naturalistico non è da meno dal momento che la campagna ospita una ricca comunità avifaunistica.
LA SCHEDA
Il Vallone della Profica
Lunghezza complessiva: 4.382 m a/r
Quota massima: 730
Difficoltà: media
Tempi di percorrenza: 3h a/r
Connessioni : sentiero n. 1 e 2
Partenza/Arrivo: via Profica Paliata (San Giuseppe Vesuviano)
Il tracciato attraversa subito un ambiente rurale largamente parcellizzato e diversificato: sul lato sinistro pregiati alberi da frutto, tra cui il fico, l’albicocco, il ciliegio ed il pruno, mentre sul lato destro si riconoscono vigneti, noccioleti e qualche castagno. La sorprendente fertilità delle pendici del Somma-Vesuvio era nota anche in tempi antichissimi: quando, nel 1748, cominciarono le prime campagne di scavo dell’antica città di Pompei, seppellita dalle ceneri dell’eruzione del 79 d.C., tra le ville romane ritornate alla luce, furono rinvenuti numerosi doli, grossi contenitori di terracotta per la raccolta del mosto; tra le viti più diffuse dell’epoca c’erano l’aminea, la pompeiana, la holconia e la vennuncula. Oggi, a duemila anni di distanza, si coltivano soprattutto i vitigni caprettone, falanghina, aglianico, greco, per ‘e palummo e il coda di volpe, che tanto piaceva a Plinio il Vecchio. Tra i vini, il più celebre è senz’altro il Lacryma Christi, un D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata) disponibile nelle varietà rosso, rosato e bianco. Sul suo singolare nome si raccontano molte leggende; la più nota vuole che Dio, riconoscendo nel Golfo di Napoli un lembo di cielo strappato da Lucifero durante la caduta verso gli inferi, abbia pianto e le sue lacrime, piombate sul vulcano partenopeo, hanno originato le viti da cui il noto vino si produce.
La valenza del sentiero non è, tuttavia, solo agro-turistica; anche il valore naturalistico non è da meno dal momento che la campagna ospita una ricca comunità avifaunistica. Al mattino presto, quando più intensa è l’attività canora degli uccelli, l’area è un via vai di diverse specie che sfrecciano tra le fronde. Tra i nidificanti più diffusi spiccano il pigliamosche (Muscicapa striata), la sterpazzola (Sylvia communis), l’usignolo (Luscinia megarhynchos), il luì piccolo (Phylloscopus collybita) ed il più comune verzellino (Serinus serinus), riconoscibile per le piccole dimensioni e il colore giallo intenso. In estate, inoltre, si nutre nei frutteti il meraviglioso rigogolo (Oriolus oriolus), dal brillante piumaggio giallo e nero, e dal canto melodioso ed inconfondibile.
Il percorso procede in dolce salita, sullo sfondo si ammirano i Cognoli di Ottaviano e di Levante e più dietro le pendici orientali del Vesuvio. Ad entrambi i bivi posti lungo il tragitto (rispettivamente dopo circa 400 e 700 m dal punto di inizio del sentiero), è necessario mantenere la sinistra. Sul secondo bivio si erge un bellissimo esemplare di roverella (Quercus pubescens), che quasi accoglie l’escursionista nel passaggio dalla fruttuosa campagna alla selvaggia vegetazione naturale. La roverella è una quercia caducifoglia autoctona, con corteccia scura, che d’inverno, a differenza delle altre specie di querce, mantiene gran parte delle foglie secche attaccate ai rami; il principale carattere diagnostico è però nelle foglie giovani, che nella pagina inferiore sono peculiarmente ricoperte da una fine peluria.
Il paesaggio vegetale inizia così a cambiare, e alle essenze agricole si associano sempre più elementi naturali, fino a raggiungere, tenendosi a destra all’ultimo bivio, un integrale bosco di latifoglie, largamente dominato dalle roverelle. Il sottobosco è ricco ed è possibile individuare, tra le altre specie, la robbia selvatica (Rubia peregrina), il pungitopo (Ruscus aculeatus) ed il ciclamino (Cyclamen sp.). Gli uccelli tipici della campagna lasciano il posto a quelli silvani, come il picchio rosso maggiore (Picoides major), il picchio verde (Picus viridis), il rampichino (Certhia brachydactyla) ed il picchio muratore (Sitta europaea), un grazioso passeriforme dal piumaggio grigio-blu sul dorso e arancio sul ventre, che restringe il foro d’ingresso del proprio nido applicando un resistente impasto di fango e saliva.
Al bosco segue una pineta di pino domestico (Pinus pinea), che costituisce il punto d’arrivo dell’itinerario. Prima di riprendere il cammino in senso inverso sino al punto di partenza, si può decidere di soffermarsi all’ombra dei pini per assaporare la quiete offerta ed inebriarsi dei profumi della resina e degli aghi, oppure ci si può inerpicare attraverso il tracciato di destra, che si addentra in un bel castagneto, ma che in primavera-estate diviene piuttosto angusto per l’intricata vegetazione erbaceo-arbustiva.