“Avverto fra la nostra gente un clima di depressione, di fine della storia.
Credo sia indispensabile uscire subito da questo stato d’animo.
Il colpo è stato duro.
Ma occorre reagire con forza.
Chi si è stancato, stia a casa.
Per chi vuole combattere è necessario guardare in faccia la realtà, con l’umiltà, il rigore, lo spirito autocritico necessariamente spietato, che ci è richiesto ora.
Prima che un problema di uomini e di programmi, c’è un problema di relazioni umane.
Nei nostri confronti è cresciuto un sentimento di insofferenza, di estraneità.
Veniamo percepiti come un misto di presunzione, di supponenza e di inconcludenza.
Il nostro linguaggio ha dimenticato le parole della gente normale. Parliamo una lingua morta.
Spesso, non ci ascoltano neanche.
Offriamo, il più delle volte, un personale politico senza nessun legame con i territori, cresciuto nelle stanze ammuffite delle correnti, o nei salotti pieni di luce e privi di aria.
Non si vede gente che provenga dalla fatica e che conosca l’odore della terra bagnata, o il rumore di una fabbrica o l’angoscia di una vita di povertà, di una bottega che chiude, di un lavoro che non arriva mai.
Occorre scuotersi subito.
Non è finita la storia.
E’ finita la vicenda di una forza politica, che non si è data una identità programmatica chiara e percepibile, e un modo di essere, di lavorare e di selezionare i suoi gruppi dirigenti sulla base del merito e della militanza.
Dopo le elezioni, abbiamo davanti un problema politico enorme: è in gioco, ormai, il carattere di forza nazionale del Pd.
Il Sud è scomparso dal suo orizzonte da anni e anni.
E in queste condizioni, si rischia di diventare un partito meno che regionale, condannato all’ininfluenza.
Ho apprezzato la grande dignità personale e politica espressa da Letta.
Bene un congresso rapido, e quanto più aperto alla partecipazione popolare, e non autoreferenziale.
Occorrono chiarimenti di fondo.
In questi anni, mi è capitato di segnalare innumerevoli volte le criticità, i vuoti programmatici, le degenerazioni della vita interna.
Non ricordo, francamente, dirigenti che abbiano avuto il coraggio di parlare per tempo e con chiarezza.
Ricordo solo gente politicamente corretta, e ben nascosta e mimetizzata.
Si dovrà parlare anche di tutto questo, in una stagione politica, che ci obbliga a un linguaggio di verità.
Per il resto, occorre avere fede e senso della storia. Con rispetto, attendiamo all’opera i vincitori delle elezioni.
“Nihil dictu facilius”: nulla è più facile che parlare.
Governare e decidere, è un’altra cosa.
E in ogni caso, auguri all’Italia.”