Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani vuole ricordare la Strage di Torre Annunziata o “Strage di Sant’Alessandro”, avvenuta il 26 agosto del 1984, in cui persero la vita 8 persone tra cui il cinquantaquattrenne padre di famiglia Francesco Fabbrizzi, completamente estraneo alla criminalità organizzata, che transitava tra via Castello e Via Roma, nei pressi del “circolo dei Pescatori”, frequentato da esponenti del clan di Torre Annunziata ed anche dal capoclan Valentino Gionta. L’attentato fu classificato dagli addetti alle indagini come tra i più crudeli e sanguinari di tutti i tempi e costituiva il frutto della guerra tra le famiglie Bardellino, Alfieri e Fabbrocino e il boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta bersaglio dell’agguato.
L’agguato fu architettato in modo tragicamente scenografico. Per mezzo di un bus turistico rubato i sicari arrivarono sul luogo del crimine. Appena scesi dal mezzo si distribuirono ordinatamente secondo il loro piano in due gruppi e cominciarono a fare esplodere colpi all’impazzata su tutti i presenti che sostavano all’esterno e all’interno del locale. Ironia della sorte si salvò proprio il capoclan dall’orribile mattanza.
Il carabiniere Andrea Buonocore in servizio alla centrale operativa della Compagnia di Torre Annunziata ricevette quel giorno tante segnalazioni circa l’accaduto e nel 2019 così riferiva all’ANSA: “Ricordo che i colleghi facevano fatica a spiegarmi quello che non avevano mai visto prima ed io a prendere nota per riferire al comandante. Sono attimi che ho scolpito nella mente e che ricordo con trepidazione per aver contribuito nell’immediato a gestire una situazione che coinvolse l’intera Arma che fece convergere centinaia di uomini e numerosi ufficiali”.
Giancarlo Siani si occupò nella sua inchiesta giornalistica che lo condusse alla morte proprio di tale episodio.
Oggi dalle indagini della Direzione Investigativa Antimafia l’attività dei clan è ancora presente nel territorio partenopeo: nella sola città di Napoli sono presenti 40 organizzazioni camorristiche per oltre un migliaio di affiliati. I clan storici (Contini, Di Lauro, Amato-Pagano, Licciardi, Mallardo, Mazzarella, Moccia) che, “limitando il ricorso ad azioni violente lascerebbero la gestione delle attività esecutive a gruppi satellite, per dedicarsi ad attività criminali di più alto profilo, quali il riciclaggio e il reimpiego di denaro di provenienza illecita” continuano a gestire i loro affari, sfruttando la povertà e l’arretratezza sociale e culturale di un territorio abbandonato, in cui a pagare in termini di negazione del futuro sono soprattutto i giovani, spesso utilizzati come manovalanza e impiegati come cordone sanitario dei capi da proteggere.
Il CNDDU propone di intitolare un locale degli istituti scolastici ubicati nella zona della strage al nome di Francesco Fabbrizzi in quanto vittima innocente della camorra; inoltre si suggerisce di approfondire le tematiche in questione a livello nazionale. La vicenda di Francesco è inserita nella “Maratona della legalità. Uniti contro le Mafie”.