“Lo scoppio dell’epidemia ha avuto un impatto devastante sul sistema sanitario, e sta già producendo conseguenze altrettanto gravi sul piano sociale”. A parlare è un gruppo di teologi, medici, vescovi e parroci che lamenta una serie di “disfunzioni organizzative” nella gestione dell’emergenza.
A lanciare la “Lettera nella tempesta” è un gruppo di gesuiti della Pontificia Università Teologica di Napoli che accusa scelte politiche che hanno sottoposto la sanità all’aziendalizzazione e a continui tagli e che hanno invece finanziato esponenzialmente la spesa militare. Chiedono adesso di arginare l’emergenza sociale attingendo a quei fondi. E l’invito è anche alle Chiese, che potrebbero rinunciare, secondo i fautori dell’iniziativa, alla parte dell’8 per mille di cui i cittadini italiani non hanno esplicitamente dichiarato la destinazione. Si tratta di diverse decine di milioni di euro.
I primi firmatari della lettera sono 36 tra gesuiti, teologi e biblisti, medici, storici, politici, vescovi, religiosi di varie congregazioni. “La crisi in atto – scrivono – può diventare l’occasione straordinaria per maturare una coscienza sofferta della insostenibilità di un sistema economico che è causa di disuguaglianze profonde, sia a livello planetario che a livello locale, e che semina morte. È l’ora di ricostruire insieme, di cercare proprio in questa sofferenza il senso di umanità e di fraternità che l’economizzazione della vita quotidiana ha compresso e spesso ridotto ad utilitarismo”.
“Siamo in una pandemia pericolosa e al collasso sanitario per mancanza di operatori sufficienti e attrezzature medicali, nonché per ritardata organizzazione”, scrivono i teologi. “Lo smantellamento del servizio sanitario nazionale è tanto grave che deve essere messo già oggi al centro della questione politica per il futuro, poiché la garanzia di una sanità pubblica efficace e accessibile a tutti è strettamente collegata con il rispetto e la dignità della persona garantiti dalla Costituzione”. Sono adesso necessarie “politiche sociali efficienti, in grado di fronteggiare le conseguenze della pandemia, facendosi carico dei bisogni di tutti, ma soprattutto dei più vulnerabili”.
La stessa Chiesa è chiamata a fare la sua parte, per esempio mettendo “a disposizione gli immobili (o le parti di immobili) che le diocesi, le parrocchie, le congregazioni religiose non utilizzano, per l’accoglienza di persone e famiglie, italiane e straniere, che sono sulla strada o che vivono un grande disagio abitativo”.
“A chi aderisce al documento, ci permettiamo di proporre – conclude la lettera – di destinare una parte del proprio stipendio (il 10 per cento, ad esempio) a forme di iniziative per sostenere chi è (e sarà) più danneggiato dall’emergenza del Coronavirus”.
Tra i firmatari padre Pino Di Luccio, gesuita, vicepreside della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, suor Rita Giaretta di Casa Rut. l’ex senatore Raniero La Valle, l’ex vescovo di Caserta mons. Raffaele Nogaro e il vescovo di Teggiano, mons. Antonio De Luca, i sociologi Maurizio Ambrosini e Pietro Fantozzi, ma anche missionari, medici e storici, in un elenco che resta aperto alle adesioni.