La folla, le pistole, i vetri rotti, la bandiera americana sventolata da un carrello dei lavavetri, così è morta, per un folle pomeriggio, la democrazia. Ieri il congresso degli Stati Uniti si era riunito per ratificare l’elezione di Joe Biden come Presidente, ma la seduta è stata interrotta dalla violenza. Una violenza che ha iniziato a nascere il 4 novembre, da quei seggi elettorali che avevano sancito la sconfitta del Presidente uscente Donald Trump, ed è stata alimentata da mesi di polemiche, di battaglie legali e politiche, di discorsi iracondi di chi non ha voluto accettare la decisione di milioni di liberi cittadini. Così, quella violenza, ieri, si è diretta a Washington ed è esplosa riducendo al silenzio la voce della democrazia. Centinaia di manifestanti hanno sfondato le transenne della polizia e fatto irruzione a Capitol Hill, lo storico Campidoglio sede del congresso. Le foto e i video hanno fatto presto il giro del mondo: parlamentari in fuga, agenti asserragliati nell’aula puntando pistole contro le porte assediate, personaggi pittoreschi pronti a scattarsi selfie negli uffici del potere, saccheggiando e distruggendo. Un improvvisato golpe, così è stato definito da molti. Per qualcuno, come la figlia del Presidente Ivanka Trump, si è trattato di “Patrioti americani”. Lo stesso Trump, oggi in isolamento, ha preso presto le distanze dai suoi sostenitori invitandoli a rispettare le divise e assicurato che la transizione alla Casa Bianca avverrà senza disordini e senza altre rivendicazioni da parte sua. I rivoltosi si sono dispersi poche ore dopo, abbandonando il Campidoglio, dove il congresso ha potuto finalmente ratificare l’elezione di Biden. Una restaurazione che non rimargina la lacerazione di ieri: 4 persone sono morte negli scontri, 13 i feriti, 52, per ora, gli arrestati. Il 2021 parte con un’amara consapevolezza: c’è rabbia che ribolle, una violenza che aspetta sempre di esplodere e, quando lo fa, qualunque cosa può sgretolarsi in un attimo, anche il cuore libero dell’America.