Ergastolo. Alessandro Impagnatiello è stato condannato al massimo della pena per l’omicidio della fidanzata Giulia Tramontano, che era incinta di sette mesi del loro bimbo Thiago.

Una sentenza che è arrivata proprio nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, al termine di un processo durato 13 udienze e iniziato a gennaio.

Ascoltando le parole pronunciate dalla giudice Antonella Bertoja, presidente della Corte d’Assise di Milano, Impagnatiello è rimasto impassibile, in piedi accanto ai suoi avvocati, dando il consenso questa volta ad essere ripreso dalle telecamere, con lo sguardo fisso davanti a sé e accennando uno sguardo duro, mentre veniva portato via dagli agenti della Penitenziaria.

I familiari di Giulia, invece, sono scoppiati in lacrime e si sono stretti in un abbraccio. “Non esiste vendetta”, ha detto piangendo la mamma, Loredana Femiano.

“Abbiamo perso una figlia, un nipote, abbiamo perso la nostra vita”, ha aggiunto. Secondo quanto stabilito dalla Corte, l’ex barman, 31 anni, dovrà anche scontare tre mesi di isolamento diurno e risarcire con provvisionali da 200mila euro la madre e il padre Franco e con 150mila euro a testa i fratelli Chiara e Mario.

I giudici hanno riconosciuto tutte le accuse contestate, con la sola esclusione dell’aggravante dei futili motivi per l’omicidio volontario.

Confermate, dunque, le aggravanti della premeditazione, della crudeltà e dell’aver commesso il fatto ai danni della convivente.

E’ stato anche condannato per interruzione di gravidanza non consensuale e occultamento di cadavere, imputazioni per le quali gli è stata inflitta un’ulteriore pena di 7 anni, che si aggiunge all’ergastolo chiesto anche dai pm.

Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni, ma per i difensori, Giulia Geradini e Samanta Barbaglia, l’esclusione di un’aggravante “è già un buon risultato”.

I giudici potrebbero aver ritenuto che il 31enne avesse un movente criminale, non futile, ossia quello di togliere di mezzo tutti gli ostacoli alla sua vita di menzogne.

Impagnatiello, che ha confessato quando è stato messo alle strette nelle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo, uccise Giulia con 37 coltellate sferrate principalmente al collo e al torace nella loro abitazione a Senago, nel Milanese, il 27 maggio 2023.

Quel giorno stesso la ragazza, 29 anni, si era incontrata con la donna con cui l’ex barman aveva una relazione parallela e le due si erano confrontate in merito alle bugie e agli inganni di cui negli ultimi mesi erano state vittime entrambe.

Una volta rientrata a casa, Giulia sarebbe stata sorpresa da un vero e proprio “agguato” da parte del fidanzato, che fino ad allora era stato come uno “scacchista” che muoveva le sue pedine.

Dopo il femminicidio, Impagnatiello provò per due volte a bruciare il corpo (“tentai di cancellare tutto – aveva detto – come se far sparire una persona fosse buttare una caramella”), decidendo, poi, di nasconderlo in un’intercapedine dietro ad alcuni box a poche centinaia di metri da casa.

Come ricostruito dalla procuratrice aggiunta Letizia Mannella e dalla pm Alessia Menegazzo, che la scorsa udienza avevano chiesto l’ergastolo e 18 mesi di isolamento al termine di una requisitoria definita un “viaggio nell’orrore”, l’uomo avrebbe anche tentato di avvelenarla per mesi con del topicida.

Nel corso del processo Impagnatiello era stato sottoposto ad una perizia psichiatrica disposta dalla Corte, ma lo psichiatra forense Pietro Ciliberti e il medico legale Gabriele Rocca lo hanno ritenuto capace di intendere e volere, anche se “narcisista, psicopatico e bugiardo”.

Il verdetto è quello che la famiglia di Giulia ha sempre ritenuto “l’unica sanzione possibile”, come ha messo in luce l’avvocato di parte civile Giovanni Cacciapuoti.

Alla lettura della sentenza la madre è “scoppiata in un pianto liberatorio”, perché “aldilà del dolore immenso che prova – ha spiegato il legale – ricevere formalmente il riconoscimento del massimo della responsabilità, secondo quella che è la giustizia degli uomini, per lei e gli altri familiari è una consolazione relativa, perché evita almeno una beffa”.

La sorella Chiara ha voluto sottolineare che “questa sentenza è solo il normale epilogo” della giustizia. “Dovremmo fare molto di più – ha detto ancora – prima che un’altra donna venga uccisa, senza aspettare la giusta sentenza per gridare contro la violenza sulle donne. La data di oggi – ha concluso – è solo una coincidenza”.

(FONTE ANSA)