Il 9 marzo del 2020, esattamente un anno fa, il presidente Conte annunciava il lockdown totale. Una data simbolica, un discorso drammatico che il premier tenne fra commozione e decisione, che per tutti gli italiani rappresenta l’inizio dell’incubo Covid. Il virus faceva già paura, ma pochi lo percepivano: non importava che il 31 gennaio lo stesso Conte avesse firmato lo Stato di Emergenza, nemmeno che a febbraio il Comune di Codogno ed altre zone erano state blindate in quarantena. “Il virus è in Cina, il virus lo prende solo chi è incosciente e va in Cina, solo chi torna in Italia, solo nel Nord” questi i commenti tipo, questa la sicurezza che in molti nutrivano pensando che il proprio orticello non sarebbe stato invaso. Il 9 marzo del 2020, dopo la prima vittima accertata in Italia, mentre i ricercatori cercavano ancora di capire cosa effettivamente fosse il virus, Conte mostrava la realtà. Le vite di tutti sono state stravolte, le certezze: ogni cosa è stata messa in discussione, dalle abitudini al lavoro, dagli affetti alle libertà che abbiamo sempre dato per scontate. Per mesi separati da amici, parenti, amori che incontravamo ogni giorno, realtà quotidiane come palestre o semplici centri commerciali chiusi, ogni momento di svago, di aggregamento, ogni spettacolo o intrattenimento, cancellato. Senza considerare il dramma di chi ha dovuto cambiare radicalmente il modo di lavorare in quello che ormai abbiamo accolto come smartworking e la tragedia di altri che, invece, un lavoro l’hanno perso definitivamente. Canzoni dai balconi per darsi coraggio, TV sintonizzate alle 18 per ascoltare il bollettino della Protezione Civile, pizze fatte in casa per poter ancora concedersi qualche sfizio culinario, videochiamate per sentirsi ancora uniti, anche se distanti, persino la potente immagine del Papa solo sotto la pioggia a pregare in una San Pietro deserta, tutto questo non è bastato. Quello che abbiamo perso, il 9 marzo, è il tempo come l’abbiamo sempre conosciuto e vissuto. Abbiamo perso sorrisi e abbracci, sicurezza e stabilità, qualcuno ha perso i suoi progetti ed i suoi sogni, altri, troppi, hanno perso la vita, perso persone care senza nemmeno la possibilità di poter dire loro addio. Ieri l’Italia ha raggiunto quota 100 mila morti a causa del Covid. Il doppio di quelli di Aids, 34 volte quelli del terremoto dell’Irpinia, 50 volte quelli del Vajont, 300 volte quelli de l’Aquila. Ma se della pandemia e dei suoi effetti devastanti parliamo ogni giorno, non bisogna dimenticare mai gli effetti collaterali. Basti pensare ai tanti ragazzi che l’anno scorso hanno svolto la maturità e salutato per sempre la scuola senza compagni, senza scherzi in classe, senza feste. Oppure ai tanti bambini venuti al mondo in quest’anno in ospedali blindati, con nonni che ancora oggi possono ascoltare i loro primi vagiti solo per telefono. Il 9 marzo non è certo iniziata la pandemia, anzi, forse il lockdown è arrivato troppo tardi, ma è il momento in cui il virus è entrato nella vita di tutti, non a livello biologico, ma sociale, economico e umano. Forse, andrà tutto bene, se alla fine di tutto ricorderemo ancora com’eravamo prima di indossare una mascherina.